domenica 17 febbraio 2008

Il Mestiere della Narrativa : riflessioni sulla scrittura

Quando ho scoperto il gusto di scrivere ho cominciato anche a cercare articoli e testi che parlassero di scrittura. So bene che il “talento”, qualunque cosa esso sia non si impara, né si insegna. Credo però che elaborare un racconto o un romanzo, come disegnare, dipingere o scolpire richieda oltre ad un pizzico di inclinazione, lo studio di quelle che sono le “tecniche” narrative e tanto esercizio per raffinare le proprie capacità. Ovvio: non mi aspetto di trovare da nessuna parte la ricetta per scrivere un romanzo. Piuttosto quello che cerco è lo stimolo a riflettere per prendere coscienza del modo in cui uso le parole quando le metto in fila per raccontare una storia. Un libro che ho trovato estremamente interessante a tal proposito è “Il mestiere della narrativa” di Percy Lubbock. Pur non essendo un vero e proprio testo di scrittura creativa questo è forse il primo libro a guardare allo scrittore come artigiano più che come artista. Solo in questo modo, dice Lubbock, si riesce a porre l’attenzione sul come lo scrittore lavora, mettendo da parte l’aura mistica che circonda la parola arte. Ve ne parlo qui, semplificando estremamente per questioni di spazio, perché al momento questo libro non si trova facilmente il libreria e magari qualcuno potrebbe essere stimolato ad andare a cercarlo in biblioteca. Un’idea importante per Lubbock è l’unitarietà : una storia, in sintesi, dovrebbe avere un centro. Il centro è il soggetto del romanzo. Tale soggetto può essere un’idea semplice o estremamente complicata, ma in ogni caso deve potersi esprimere in una ventina di parole ed intorno ad esso dovrebbe essere costruito tutto il romanzo. Il discorso che porta avanti Lubbock sul punto di vista è particolarmente interessante: la voce narrante può essere quella del narratore onnisciente presente costantemente nel racconto (che richiama direttamente la tradizione dei cantastorie), quella del protagonista oppure può essere apparentemente “assente” dal romanzo, dando così al lettore le sensazione di essere direttamente testimone degli eventi. Se ci divertissimo a tracciare dei grafici, la difficoltà di utilizzo sarebbe crescente dal primo all’ultimo metodo. Nonostante ciò però la prima tecnica non è praticamente più utilizzata nei romanzi moderni. Perché? Semplice perché è la meno efficace. E’ difficile, infatti, creare una forte reazione emotiva nel lettore se la voce del narratore è sempre lì a fare da tramite con la storia. E’ di quanto questo sia vero me ne sono accorto partecipando alla scrittura delle puntate della seconda serie degli audiofumetti dell’Insonne (NdA non vedo l’ora che il primo episodio scritto da me vada in onda. Manca poco più di una settimana…) che per loro natura non possono essere scritti che con questo metodo. In questo modo, dice Lubbock, l’autore dipinge quadri e descrive panorami. In sostanza siamo di fronte ad una staticità che limita l’impatto emotivo. Sia ben chiaro: questo non è necessariamente un male. Dipende dal risultato che si intende raggiungere. La narrazione in prima persona è particolarmente adatta se vogliamo descrivere il mondo e i personaggi attorno al personaggio principale. Il protagonista in questo caso assume meno spessore (perché di certo non può guardare a sé stesso “oggettivamente”) e si pone più come una finestra sul mondo che come un personaggio tridimensionale. Inoltre ciò che è nella testa del protagonista non può esserci nascosto e quello che è nella testa degli altri non può esserci mostrato. I limiti e le potenzialità di fissare il punto di vista e tenere sempre quello mi sembra siano ben illustrati, sebbene in un mondo e in un linguaggio completamente diverso, dal recente film “Cloverfield”. Guardare per credere Con la narrazione “impersonale” in terza persona, la voce del narratore diventa apparentemente assente ma ha in realtà la massima libertà e ci guida dove vuole portarci: in alto ad osservare un panorama, nel mezzo dell’azione per osservare in modo “drammatico ciò che accade o dentro la psiche dei personaggi. Dove vuole, quando vuole. Così lo scrittore può svelarci le sue carte un po’ per volta e stupirci, coinvolgerci ed emozionarsi. Perché non usare sempre è solo il terzo metodo, se è quello più efficiente? Semplice: ciò che devo guidare lo scrittore nella scelta è il centro del romanzo di cui parlavamo prima. Il metodo che occorre scegliere è quello che meglio si adatta al soggetto che si vuole narrare. Lo chiama il principio dell’economia narrativa: in sostanza non bisogna strafare. D’accordo so cosa state pensando : forse quella descritta è un’ottica eccessivamente rigida (tant’è che porta Lubbock a criticare negativamente Guerra e Pace di Tolstoj perché, secondo lui, non ha un soggetto ben definito, ma due…), però trovo che questi concetti siano estremamente interessanti e valga la pena tenerne conto fosse anche solo per violarli, ma scientemente. PS Se vi interessa un corso di scrittura ironico e divertente, vi consiglio quello sul blog di Simone Navarra

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