J osservava la propria immagine riflessa e non riusciva a credere di stare contemplando sé stesso. Forse era passato troppo tempo da quando si era guardato in uno specchio l’ultima volta, eppure non era né la barba lunga e trascurata, né l’aspetto un tempo florido ed ora eccessivamente magro a stupirlo, quanto il fatto che vedeva il suo corpo correre su un tapis roulant.
Lo meravigliava l'aver vinto la propria apatia ed essere lì nella palestra. Studiò l’ambiente attorno a lui attraverso lo specchio.
Molti volti li conosceva almeno di vista. Naturale, pensò. In fondo non erano poi tanti gli abitanti della sua Nuova Città.
Uomini e donne vestiti alcuni in tute larghe per nascondere la scarsa forma fisica, altri con magliette attillate per esaltare corpi perfetti e muscoli scolpiti. Alcuni svolgevano diligentemente gli esercizi. Altri chiacchieravano come se fossero lì col solo intento di socializzare e riempire ore altrimenti vuote. Molti di loro, lo sapeva bene J, erano completamente inconsapevoli di ciò che era accaduto.
Un ragazzo sembrava ci stesse provando con una ragazza: ormai avevano interrotto l'allenamento da almeno un quarto d'ora. L’istruttore si avvicinò e disse loro “Vi porto un caffè?”, il tono era apparentemente scherzoso, ma l’invito a rimettersi in movimento era serio: “Il secondo turno è fra meno di dieci minuti e così sprecate il tempo a vostra disposizione” .
J tornò a concentrarsi sul proprio movimento. Uno due uno due.
Passarono i dieci minuti. Suonò la campana. Gli attrezzi si fermarono automaticamente.
“J sono felice di incontrarti qui”
Una pacca sulla schiena sottolineò il concetto.
“Sam, non ti avevo visto.”
“Probabilmente eri troppo concentrato a guardare i sederi delle ragazze. Chi ti a convinto a venir fuori dalla tua stanza?”
“Il medico…”
J si fermò davanti alla finestra.
“…mi ha detto che se non mi fossi deciso a fare la mia dose di ginnastica quotidiana…”
Osservò nel vetro il riflesso della propria faccia.
“…avrebbe dovuto ricorrere a metodi più drastici…”
Le stelle che scorrevano attraverso i suoi lineamenti sembravano i suoi ricordi in continuo movimento.
“La cancellazione della memoria?” chiese Sam.
“Già. Tutto ciò che mi rimane della mia vita è qui” rispose J indicando la propria testa “non posso tollerare che sia distrutta”.
Il dottore aveva avuto anche troppa pazienza con lui, in quanto suo amico “mi dispiace J, non posso permettermi di perdere nemmeno uno di voi. Siamo rimasti così in pochi. Hai bisogno di fare ginnastica, altrimenti la gravità artificiale in poco tempo danneggerà le tue ossa e devi mangiare : sei troppo al di sotto del tuo peso. Se sono i tuoi ricordi a impedirti di andare avanti, li elimineremo.”
“Sai Sam, vorrei essere ancora sulla Terra con la mia famiglia.”
“Erano contaminati, lo sai. Non sarebbero vissuti ancora a lungo. Saresti rimasto solo.”
“Perché ora non lo sono?” pensò J. Non espresse il pensiero però: Sam, lo psicologo della nave, avrebbe potuto denunciarlo per depressione e allora la cancellazione sarebbe stata obbligatoria.
“Hai ragione”, disse J.
Guardò ancora una volta il proprio riflesso sull’oblò e faticò a riconoscere l’uomo che era e che mai avrebbe abbandonato la propria famiglia per salvare la propria vita.
“Andiamo a mensa?” gli chiese Sam.
“Volentieri”, rispose J fingendo entusiasmo. Lo faccio per voi, disse alle stelle che attraversavano la sua testa, perché possiate vivere ancora dentro di me.
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