domenica 25 ottobre 2009

Per un quarto di Megabyte di celebrità

Capita sempre più spesso, nei discorsi fra amici, di iniziare una frase con: “l’altro giorno su Facebook…”
A questo punto qualcuno nel gruppo dirà: “no, io Facebook non ce l’ho e non lo voglio. Secondo me è un vero pericolo per la privacy”.
È chiaro che vi sono alcune persone (sempre di meno?) che vedono la propria esistenza sul Web come una grave minaccia per la propria vita privata.
E gli altri?
Alcuni non se ne occupano o preferiscono correre il rischio, per non perdere i vantaggi delle nuove tecnologie (l’amico scettico a questo punto ribatterà: “ma che vantaggi? Alla fine sono solo una gran perdita di tempo…”).
Ci sono poi quelli che sul Web sono più che presenti, ma con uno pseudonimo che divide nettamente la propria vita reale da quella virtuale.
Infine ci sono quelli che cercano se stessi... e non intendo in senso filosofico. Si tratta di persone che, di tanto in tanto, scrivono il proprio nome e cognome su Google e se il numero è di occorrenze del proprio nome sul Web è aumentato dall’ultima volta, provano una lieve e inconfessabile soddisfazione. Come se essere presenti sul Web fosse una sorta di affermazione di se stessi.
Vi confesserò (con un po’ di vergogna) che io sono uno di questi.
I link in cui compaio a volte sono relativi al mio lavoro, altre a social network e altre ancora al mio hobby di scrivente (non dico scrittore, perché ne sono ben lontano… come se uno che una volta ha formulato un pensiero qualunque, si auto-nominasse filosofo).
Con un piccolo sorriso scorro i link e penso “ma dai! Eccomi anche qui.”
Poi mi prende un piccolo e inquietante dubbio: ma se i colleghi di lavoro o il mio capo, facendo una ricerca sul mio nome, scoprissero che dopo cena o la domenica accendo il computer e scrivo, che penserebbero? Non sarebbe stato meglio se avessi separato con uno pseudonimo la mia identità reale e quella di consumatore di tastiere?
C’è, però, un grande errore alla base di questo ragionamento basato su una forma di megalomania di una parte del mio IO: “ma davvero sei convinto che il tuo capo, i tuoi colleghi o chiunque altro, non abbia nulla da fare se non inserire il tuo nome in un motore di ricerca?”

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