Real Mars, terzo
romanzo di Alessandro Vietti, racconta di una missione verso Marte, in un
futuro non così lontano, finanziata dalla televisione allo scopo di costruire
un reality show incentrato sulla vita a bordo dei quattro astronauti.
Una missione su
Marte finanziata dalla TV? Vi sembra davvero una cosa così assurda? Pensateci
bene: qualunque cosa si debba fare, oggi, deve avere un ritorno economico
immediato. Occorre ridurre l’emissione di gas inquinanti e generare energia pulita per non distruggere il pianeta? Qual è il tempo di rientro dell’investimento
iniziale? Cinque anni? Troppo: non posso aspettare tanto. Bisogna trovare la
cura per una malattia rara, ma terrificante? No, mi dispiace: non è possibile
guadagnarci sopra. Hai scritto un libro o una sceneggiatura per un film? Non m’interessa
se è un capolavoro: mi va bene pure che sia una schifezza purché, io ci possa fare soldi (magari perché sei già famoso).
Così, l’idea su
cui si basa Real Mars, è terribilmente plausibile e affascinante. Se l’idea è
buona, lo è ancora di più la realizzazione, perché Vietti dimostra una rara
maestria nel giocare col linguaggio e lo stile non solo allo scopo di renderci spettatori
del programma, ma anche per ricreare tutto quel rumore mediatico che si genera
attorno a un fenomeno di successo: dai commenti dei personaggi noti, del Vaticano,
delle riviste, alle pubblicità, ai Tweet senza tralasciare il brulicare di vite, attorno al programma, spesso immerse nel dolore (e che da quel dolore
cercano sollievo, sbirciando le giornate dei quattro astronauti).
Il romanzo che ne
risulta è bello, divertente e drammatico allo stesso tempo, perché all’ironia
che lo pervade fa da contrappeso la cognizione della sofferenza che permea l’esperienza
degli uomini; è un romanzo che se fosse pubblicato da una casa editrice grande
(magari col nome di uno scrittore più famoso in copertina) si guadagnerebbe una
larga attenzione mediatica, entrerebbe in classifica, genererebbe dibattiti e
farebbe parlare di sé anche opinionisti e tuttologi … allora forse è meglio che
rimanga nell’underground; altrimenti rischierebbe lo stesso destino dell’immagine
che chiude il libro, che auto-amplificandosi finisce con l’invertire il proprio
significato e diventare paradosso di se stessa.
Bravo,
Alessandro. Ora aspettiamo il tuo prossimo lavoro.
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