La polvere del tempo è un racconto lungo di Daniele Picciuti, pubblicato dalla Mela Avvelenata.
La storia è ambientata in un futuro apocalittico e distopico, in cui la società si è sgretolata e i suoi resti giacciono sotto un manto di polvere brillante (un effetto non previsto dell’inquinamento) che di giorno riflette la luce del sole, rendendo il mondo una landa accecante. Nuova Roma è dominata da una milizia più interessata a prendere con la forza ciò che vuole, che a proteggere i miserabili che abitano la città dagli attacchi dei mostri mutanti, chiamati Predatori.
Lorenza, la protagonista, si limita a sopravvivere, fino a quando l’incontro con un cane non la porterà a smuoversi dal suo torpore, per ricercare un nuovo futuro.
Il racconto scorre bene e risulta avvincente. Non si può non trepidare per la sorte di Lorenza, la cui vita è viziata, sin dall’origine, dal sopruso. La prima parte è cupa, cruda e disperata, ma, nel finale, la speranza riapre il cuore del lettore. Tuttavia non mancano alcuni difetti: lo scenario, per quanto affascinante, appare solo accennato e, allo stesso modo, il finale lascia troppe domande senza risposta. Inoltre, se la prima parte è fin troppo cupa, l’apertura alla speranza è persino eccessiva. Forse il racconto avrebbe meritato qualche pagina in più per soddisfare appieno il lettore.
Ciò che mi è piaciuto di più è il modo in cui la polvere penetra in ogni anfratto del racconto: i ricordi, i sentimenti, le relazioni umane appaiono tutte polverizzate, il sesso è divenuto solo prevaricazione, amicizia e amore sembrano scomparse. Insomma, non si parla solo d’inquinamento della terra (che, pure, sarebbe un tema importantissimo) ma dell'inquinamento della stessa anima dell’uomo, senza purificare la quale nessuna rinascita è possibile.
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