venerdì 20 giugno 2014

Paranoie

Qualche post fa, avevo parlato della gestione dei due punti, per un presunto errore in un mio racconto nell'edizione di Aprile di Minuti Contati, ma mi ero dimenticato di mettere sul blog il racconto. Il tema era "paranoie" e il mio racconto si è classificato terzo, in quell'edizione

Lo sguardo del bagnino

“Ne sono certa.”
“Livia, non siamo in un film di Pierino.”
Berto avrebbe voluto usare un tono più severo. La guardò bene, in quel bikini che ne metteva in risalto i difetti. Gambe storte e sedere a pera. Le studiò il viso: il naso adunco e il mento proteso in avanti: l’incarnazione della befana. E quegli occhi a palla che facevano pensare a un camaleonte. No, non se la sentiva di essere severo, se voleva illudersi che il bagnino la bramasse, al punto da spiarla mentre si cambiava nella cabina.
“Berto, mi ami?”
Lui ripensò ai quarantacinque anni di solitudine, fino a quando non l’aveva incontrata: “Certo.”
“Allora devi credermi. Era scritto anche sull’oroscopo: questa settimana, attirerai l’interesse dell’uomo più bello che tu abbia mai visto.”
Berto, professore di scienze alle scuole medie e materialista convinto, respirò a fondo e annuì di nuovo. Sapeva quanto fosse inutile provare a convincerla che le stelle sono ammassi di gas incandescenti e non amuleti.

“Ha tenuto il binocolo su di me, per tutto il tempo del bagno.”
Berto era uscito dal mare più accaldato di quando vi era entrato. Come ogni anno, le aveva chiesto di vedere un posto nuovo e, come ogni anno, erano a Rimini.
“Vigila sui bagnanti. Siamo solo finiti nel suo campo visivo.”
“E, ora che siamo sulla spiaggia, invece di sorvegliare i bagnanti, guarda me.”
Si voltò. In effetti, stava guardando verso di loro, ma appena incrociò gli occhi di Berto si voltò per scrutare l’orizzonte.

Berto aveva otturato con cura i buchi della cabina e badava a mettersi sempre nella linea visiva fra il bagnino e Livia. Avrebbe dovuto lamentarsi col direttore. Era certo, però, che quello si sarebbe fatto solo una grassa risata alle loro spalle. Era meglio convincere Livia a fare le valigie in anticipo. O, magari, smetterla con quella stupida fissazione e concentrarsi sul romanzo che teneva aperto, senza riuscirne a leggere neppure una riga.
“Professor Bertuzzi! È davvero lei!”
Berto sussultò, si raddrizzò sulla sdraio e si voltò verso il bagnino comparso accanto a lui. Finalmente, lo osservò da vicino e lo riconobbe: Attilio Fanelli, mediocre alunno di tanti anni prima. Si ricordava di lui soprattutto per le vivaci discussioni in cui lo coinvolgeva sulle scienze occulte, pur di distrarlo dalla necessità di spiegare o interrogare. Sorrise rilassato, si voltò verso la moglie per spiegarle: il ragazzo aveva creduto di riconoscerlo, ma voleva accertarsi dell’identità del vecchio professore, prima d’importunarlo. Anche lei si era tirata su e rivolgeva ad Attilio un inutile sguardo languido.
“Professore” continuò il bagnino, “per un errore del destino, lei ha sposato la donna che, in tutte le mie precedenti reincarnazioni, è stata la mia anima gemella.”
Berto sentì la propria mascella aprirsi in un’espressione ebete.
“Le devo chiedere di non impedire un amore più grande della vita.”
Sul viso di Livia si era dipinta la soddisfazione di chi ha sempre ragione. La donna si alzò in piedi e scrollò le spalle: “Scusa, caro, non posso oppormi al fato.”
Mentre guardava i due allontanarsi, Berto cercò dentro di sé il dolore dell’abbandono. Vi trovò, invece, il sollievo della liberazione.
Iniziò a ridere sguaiatamente, indifferente agli sguardi degli altri bagnanti.

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