Siamo nel bel
mezzo di un’emergenza ecologica che minaccia di cambiare, in pochi anni, il
nostro mondo. Non se ne parla molto. Anzi, ho la sensazione che se ne parlasse
molto di più quand’ero piccolo. All'epoca ero sensibile ed estremista, come tutti i bambini e litigavo con mia madre perché aveva una pelliccia, dicevo che appena grande mi
sarei iscritto al WWF ed ero convinto che, da grande, avrei votato i Verdi.
Poi sono
cresciuto e ho capito che il mondo è molto più complesso degli slogan di cui
riempiamo la testa dei bambini. Non che la mia “sensibilità ecologica” sia
svanita del tutto, ma ho capito che non basta pronunciare uno slogan, né dire
che qualcosa non va bene senza proporre un’alternativa applicabile, e che non
si può credere alle favole (la fonte magica di energia pulita di alcuni film o
dei complottisti) perché vale sempre il secondo principio della termodinamica.
Sta di fatto che
l’emergenza ecologica esisteva quand’ero piccolo, esiste ancora e, all’orizzonte,
non sembrano esserci segni di miglioramento.
Quali sono le
alternative?
Qualcuno parla di
“sostenibilità”. L’Europa sembra pure crederci. Che significa sostenibilità?
Significa ammorbidire l’economia perché la “crescita” e il consumo non siano
superiori a quello che la Terra potrebbe sopportare e fare della protezione dell’ambiente un "valore economico": riciclare e riutilizzare, far pagare chi inquina in modo che
gli convenga non farlo, produrre da fonti rinnovabili, ecc. Funziona? Sembrerebbe di
no: siamo in troppi sulla Terra e, come amano dire gli americani, non esistono pasti gratis. Produrre carburante e plastica dai cereali (carburante
rinnovabile, è vero, ma bruciarlo non è così pulito) significa togliere cibo. Riciclare
plastica e carta implica comunque un processo produttivo industriale, in ogni
caso inquinante. Le industrie, costrette a spendere soldi per essere
sostenibili, chiudono gli impianti e se ne vanno in zone più povere che non
hanno tempo di imporre vincoli ambientali. Potrei continuare a lungo, ma volevo solo dare l''idea.
Altri parlano di
decrescita felice cioè di cambiare completamente stile di vita: autoprodurre
cibo, vestiti e tutto ciò che ci serve, lavorare meno perché si ha bisogno di
meno soldi, rinunciare a tanti supporti tecnologici, e così via. In pratica, significherebbe tornare
indietro. Funziona? Forse potrebbe, ma non vedo come si possano convincere
milioni di persone a farlo.
La verità è che bisognerebbe almeno provare ad agire per davvero, in un nodo o nell'altro, e farlo in prima persona: non basta (o non serve) votare SI a un referendum
poco chiaro e poi mettersi in macchina e bruciare carburante per andare, con la coscienza pulita, a
fare una gita “fuori porta”.
Dovremmo impegnarci, giorno per giorno, a essere un po’ più che sostenibili e un po’ meno che “decrescisti” e
farlo tutti insieme. Ricordo un episodio di “Ai confini della realtà” (L’Ambasciatore)
in cui un alieno si presentava alle Nazioni Unite annunciando di voler
distruggere la Terra perché la nostra specie non si era dimostrata degna di
esistere. Di fronte a questa minaccia le nazioni del pianeta riuscivano a
stipulare una pace globale… Sarebbe il momento di unirci davvero tutti di
fronte alla minaccia della distruzione del nostro pianeta. Ammesso che la
nostra specie ne sia capace.
PS La vignetta l'ho presa qui
PS La vignetta l'ho presa qui
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