mercoledì 28 gennaio 2009

La camera

− Questa è la camera in affitto. Rino aprì la porta dell’ampia stanza: una parete scorrevole posta a metà creava un’anticamera con divanetto e tavolino. Sopra il letto un grande quadro astratto. Il coraggioso accostamento di colori trasmetteva ospitalità. Mi guardai attorno. I dipinti erano ovunque. Una donna dal collo lungo e il viso triste. Un panorama di un paese che ricordava la mia Puglia. − Li ho fatti io. − disse Rino, con la sua risata accogliente, − La ragazza del ritratto è la prima a cui ho affittato la camera. Il paese è quello di Pino, abitava qui quattro anni fa. Se non ti piacciono puoi toglierli. − La risata suonava ora di limpida umiltà verso le proprie creazioni. Mi attrassero, di quell’anticamera, una lampada giapponese e un lavatoio da film in costume. E poi la fotografia appesa di una scritta su un palazzo: “Neanche i sofficini sorridono più” − Silvia amava l’oriente, Giacomo la storia. Anna invece collezionava immagini di graffiti. − La voce di Rino era tinta di nostalgia per gli amici lontani. Guardai quel mosaico di vite e mi vennero in mente tutte le camere in cui avevo passato gli ultimi anni. In ciascuna di esse avevo lasciato un pezzo di me: il letto su cui avevo fatto, per la prima volta, l’amore, la scrivania su cui avevo trepidato per gli esami. Sentii nostalgia persino dal monolocale da cui ero scappato via, perché la solitudine aveva generato in me la paura della paura. −Sembri un bravo ragazzo. Se ti piace è tua. − La risata, questa volta, aveva i colori del grande quadro astratto. − La adoro! − risposi e già avevo individuato un punto libero sulla parete in cui avrei appeso questo piccolo racconto. Il giorno in cui sarei andato via.

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