sabato 20 febbraio 2010

Un gradino dopo l'altro

Dalle nebbie dell’unico di economia e organizzazione aziendale, fra vaghi ricordi sul bilancio e un’immagine sfocata dei meccanismi dell’inflazione, sul sottofondo della voce di Romano Prodi che, prima dell’impegno politico, ci spiegava in videocassetta i concetti base dell’economia, si staglia il ricordo della lezione sulla scala dei bisogni di Maslow, ovvero la felicità umana, un gradino dopo l’altro.

Il concetto è semplice: la realizzazione per un essere umano passa per diversi “livelli” di bisogno.. I gradini di questa piramide coprono, dal basso verso l’alto:

  • i bisogni fisiologici (fame, sete, ecc.);
  • i bisogno di salvezza, sicurezza e protezione;
  • il bisogno di appartenenza (ovvero l’affetto e l’identificazione);
  • il bisogno di stima, di prestigio, di successo;
  • il bisogno di realizzazione di sé (cioè realizzare la propria identità e le proprie aspettative e occupare una posizione soddisfacente nel gruppo sociale).
Cosa c’entra tutto ciò con l’economia?
Mario non ha una lira, ha fame e sete al punto tale da rischiare ogni giorno la vita. Mario sarà felice per il solo fatto di aver, in quel preciso momento, un tozzo di pane. Così Mario, che vive in condizioni di povertà è disposto a qualunque cosa: rischiare la vita, lavorare in nero dodici ore al giorno, vivere in un tugurio senza bagno con altre dieci persone, andare in piazza ogni mattina sperando che il padrone lo chiami a lavorare alla giornata.
La scala rende lecito che chi ha bisogno della manodopera di Mario la sfrutti per pochi spiccioli, senza preoccuparsi di riconoscergli qualunque diritto. Tanto Mario non lo richiede, perché ha troppa fame.
Perché dargli di più? Mario è felice così.
Mario ormai da un po’ di giorni mangia. La mente è un po’ più libera e lui comincia a preoccuparsi del futuro. Vorrebbe la certezza di avere qualcosa in tavola anche domani, dopodomani e così via. Così, quando Mario scopre che sta a Taranto, proprio dietro casa sua, stanno per impiantare la più grande acciaieria d’Europa, lui pensa solo: finalmente avrò cibo ogni giorno. Non si rese conto di quanto veleno ci sarà in quel cibo.
Per chi deve far quadrare i conti delle azienda va bene così. E, più in là, quando il costo della manodopera in occidente sarà aumentato, di paesi immersi fino al collo nel bisogno di sicurezza se ne troveranno a bizzeffe. E allora basterà chiudere una fabbrichetta qui e spostarle dove ci milioni “Marii” ancora alla base della scala.
E così Mario sale i gradini uno alla volta.
Mario ha bisogno di appartenenza? Gli sì dà la convention che lo carica: “tu fai parte della grande famiglia di questa ditta.” E, visto che Mario nel frattempo è diventato consumatore, e le fabbriche si stanno spostando a sud o a est. A Mario diamo una piccola automobile, una cinquecento o una seicento (siamo nell’epoca del Boom economico), in modo che lui possa sentirsi parte del bel paese.
Mario il consumatore ora ha bisogno di successo? Ecco pronta per lui un’automobile strafiga, che lo rende migliore degli altri, l’automobile che ha solo lui.
Lo senti il successo che ruggisce nel tuo motore, Mario?
Che dici Mario? Vuoi realizzarti? Ma allora devi avere una macchina unica nel suo genera, con accessori personalizzati, un telefono cellulare con una suoneria solo tua, il vestito esclusivo, che dica a tutti quanto sei bravo...
Ricordo che, mentre con la massima naturalezza, il docente mi spiegava questi concetti (anche se il modo era un po’ diverso) io, forse ancora troppo ingenuo, affogavo in un immane senso di disagio. Un brivido freddo mi correva lungo la schiena.
Quando qualche anno prima avevo studiato l’antica Grecia, avevo immaginato che, in un mondo affrancato dalla schiavitù, la gente avrebbe finalmente potuto far volare le proprie menti come in quelle epoche antiche potevano solo pochi fortunati filosofi. Ora scoprivo che la libertà dalla schiavitù fisica era divenuta solo la via per farci mettere i legacci allo spirito.
Eppure io ci credo ancora in una società in cui gli esseri umani siano davvero liberi e cerchino la realizzazione non in un automobile più bella, ma nelle idee, nelle emozioni, nella poesia, nella bellezza. Ci credo se non come realtà contingente, come punto di arrivo a cui mirare. Anche se la strada ancora non l’ha indicata nessuno, l’uomo può ancora farcela.
E poi è evidente che la scala di Maslow non funziona in tutti i casi.
Basta guardare a chi lavora nella ricerca: ricercatori (ex-)giovani(ma ancora precari) che se ne fregano della sicurezza (“mi rinnoveranno l’assegno di ricerca?”) e dell’appartenenza (“Avrei bisogno delle chiavi della stanza delle riunioni” “No, mi dispiace. Tu come assegno di ricerca sei uno esterno all’ente, anche se sei qui da una vita, e la chiave non te la posso proprio dare”) per puntare direttamente alla realizzazione di sé. Come antichi filosofi ricerca dell’archè
“Amore che si mangia domani?”
“Qual era l’archè secondo Anassimene?”
“L’aria?”
“Esatto…”

2 commenti:

Anonimo ha detto...

e per quelli che hanno pure il bisogno di achievement? (modifica post maslowiana, dovrebbe essere l'ottavo)
comunque ti posso consolare dicendoti c'è una interessante visione nuova della scala che vede l'inversione dei bisogni e addirittura la soppressione di alcuni...
Poi non che cambi molto, Mario continuerà a passarsela male.

Angelo Frascella ha detto...

Interessante.
Andrò a cercarla questa nuova scala...